Dopo l’ormai nota Sentenza Grilli del 2017, la Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta nuovamente in materia di assegno divorzile, dirimendo, con la sentenza n. 18287/2018, il contrasto giurisprudenziale sorto in ordine ai criteri ed ai parametri da adottare per il suo riconoscimento.
Secondo un precedente orientamento (cfr. Cass. civ. S.U. sent. n. 11490/1990), l’assegno, ritenuto avente carattere esclusivamente assistenziale, doveva essere disposto in caso di inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Non veniva richiesto un vero e proprio stato di bisogno, bensì veniva ritenuta sufficiente la dimostrazione di un deterioramento delle condizioni economiche a causa del divorzio per cui si rendeva necessario provvedere ad un riequilibrio.
Nel maggio del 2017, però, dopo ben 27 anni in cui tutti i Tribunali italiani si erano attenuti al criterio ispirato al tenore di vita goduto dai coniugi durante il matrimonio, la Cassazione (questa volta a sezioni semplici) ha ribaltato completamente il proprio orientamento.
Parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente dev’essere la sua non autosufficienza economica. In tale giudizio, almeno per la prima fase relativa all’an, non entrano comparazioni tra le condizioni economiche degli ex coniugi, bensì solo valutazioni relative alle condizioni del soggetto richiedente l’assegno. Solo nella fase relativa alla determinazione del quantum, è invece legittimo comparare le posizioni personali ed economico-patrimoniali dei coniugi, secondo i criteri dell’art. 5 co. 6 della Legge sul Divorzio.
Entrambi i parametri – tenore di vita vs autosufficienza economica – sarebbero però, secondo le Sezioni Unite tornate a pronunciarsi sul tema, esposti al rischio dell’astrattezza e del difetto di collegamento con l’effettiva relazione matrimoniale. Per questo motivo, la scelta deve rivolgersi ad un criterio composito, fondato sui principi costituzionali di pari dignità dei coniugi e di solidarietà che permangono anche dopo il divorzio.
Ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno, che ha funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, si devono valutare diversi fattori, tra cui il contributo fornito dall’ex coniuge, economicamente più debole, alla formazione non solo del patrimonio comune ma anche del profilo economico patrimoniale dell’altra parte, anche in relazione alle potenzialità future.
Le scelte comuni della famiglia contano per il futuro. La natura e l’entità del contributo del coniuge debole è infatti frutto di decisioni adottate in sede di costruzione della famiglia, riguardanti i ruoli endofamiliari, in relazione all’assolvimento dei doveri coniugali ex art. 143 c.c. che, motivano gli Ermellini, «costituiscono l’espressione tipica dell’autodeterminazione e dell’autoresponsabilità sulla base delle quali si fonda…la scelta di unirsi e di sciogliersi dal matrimonio».
Secondo le Sezioni Unite, solo dando rilevanza alle scelte e ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e la vita familiare, è possibile accertare in concreto se la condizione di squilibrio economico venutosi a creare a seguito del divorzio sia da ricondurre eziologicamente alle scelte comuni e ai ruoli endofamiliari che ciascun coniuge ha scelto di attribuirsi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente l’assegno.
Il giudizio di adeguatezza dei mezzi deve avere anche un contenuto prognostico circa la concreta possibilità per il coniuge debole, una volta sciolto il vincolo matrimoniale, di recuperare il pregiudizio economico e professionale derivante dall’assunzione di un impegno diverso, rilevando quindi anche e soprattutto l’età del richiedente, per verificare la concreta possibilità di un adeguato ricollocamento nel mondo del lavoro.
Ogni matrimonio è diverso. Il giudice dovrà dunque operare, volta per volta, un’analisi ed un bilanciamento del contributo che ciascun coniuge ha dato alla conduzione della vita familiare, in considerazione delle singole scelte, della durata del matrimonio, dell’età dei coniugi e delle loro potenzialità reddituali – lavorative future.