‹‹Ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità, in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dell’articolo 9 della Legge 1 dicembre 1970 n. 898, nel testo modificato dall’art. 13 della Legge 6 marzo 1987 n. 74, la titolarità dell’assegno, di cui all’articolo 5 della stessa Legge n.898/1970, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile, al momento della morte dell’ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all’assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un’unica soluzione››.
È questo il principio di diritto affermato nella sentenza n. 22434/2018 pubblicata lunedì scorso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a risolvere il contrasto giurisprudenziale in merito alla sussistenza in capo al coniuge divorziato, in caso di decesso dell’altro coniuge, del diritto alla pensione di reversibilità ex art. 9 L. n. 898/1970 anche in caso di corresponsione dell’assegno divorzile in un’unica soluzione.
Il caso è nato da una pronuncia della Corte d’Appello di Messina che, confermando la decisione del Tribunale di primo grado, aveva negato ad una ex moglie il diritto a percepire la pensione di reversibilità, avendo la stessa già percepito, in un’unica soluzione, l’assegno divorzile. La Corte territoriale aveva in particolare ritenuto che, ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità, il requisito della titolarità dell’assegno dovesse essere attuale, ovvero dovesse essere in atto, al momento del decesso, una prestazione periodica in favore dell’ex coniuge superstite. La signora proponeva quindi ricordo in Cassazione.
Atteso il contrasto giurisprudenziale di legittimità circa la natura giuridica del diritto alla pensione di reversibilità, la questione veniva tuttavia rimessa al vaglio delle Sezioni Unite che, aderendo alla linea sostenuta dalla Corte d’Appello, hanno rigettato l’impugnazione.
“L’ex coniuge, al quale è stato versato l’assegno di divorzio una tantum, non ha diritto alla pensione di reversibilità, ciò in quanto il presupposto per vantare tale diritto è quello di essere titolari, al momento del decesso dell’ex coniuge, di un diritto attuale e concreto all’assegno divorzile” – hanno precisato gli Ermellini.
Condizione per avere la reversibilità dopo il divorzio è l’essere titolare di un assegno divorzile versato mensilmente. Se invece l’ex coniuge superstite ha ricevuto l’assegno una tantum, la prestazione previdenziale non gli è dovuta. Questa viene infatti riconosciuta come sostegno per il venir meno dell’aiuto economico costituito, in precedenza, dall’assegno di divorzio versato in vita dal defunto.
Sul punto, i Giudici del Supremo Collegio hanno così motivato: «Se la finalità del legislatore è quella di sovvenire a una situazione di deficit economico derivante dalla morte dell’avente diritto alla pensione, l’indice per riconoscere l’operatività in concreto di tale finalità è quello dell’attualità della contribuzione economica venuta a mancare; attualità che si presume per il coniuge superstite e che non può essere attestata che dalla titolarità dell’assegno, intesa come fruizione attuale di una somma periodicamente versata all’ex coniuge come contributo al suo mantenimento. Viceversa, un diritto che è già stato completamente soddisfatto non è più attuale e concretamente fruibile o esercitabile, perché di esso si è esaurita la titolarità».
Del resto, anche la condizione, prevista dall’art. 9 L. 898/1970, che l’ex coniuge non sia “passato a nuove nozze”, conduce a correlare il diritto alla pensione di reversibilità all’attualità della corresponsione dell’assegno divorzile.
L’espressione “titolare dell’assegno” contenuta nel terzo comma del predetto articolo, presuppone infatti la concreta ed attuale fruibilità ed esercitabilità del diritto di cui si è titolari. Un diritto che, in caso di assegno percepito in un’unica soluzione, è già stato corrisposto completamente, con ciò precludendo la proponibilità di ogni e qualsiasi successiva domanda di carattere economico da parte del coniuge beneficiario.